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Nei panni di mia moglie di A. Saviano
Nei panni di mia moglie - Andrea Saviano
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ISBN 88-7568-298-4
EDITRICE NUOVI AUTORI
via G. Ferrari, 14
20123 Milano (MI)

Oltre la morte

di Andrea Saviano
SOMMARIO
01 - Quando meno te l'aspetti
02 - Tra cielo e Terra
03 - In amore nulla è impossibile
04 - Una vedova inconsolabile
05 - Una segretaria quasi modello
06 - Un maggiordomo impeccabile
07 - Chi trova un amico...
08 - Il sangue del mio sangue
09 - I consigli di un fratello... padre
10 - A volte tornano
11 - Lo scrittore e il giornalista
12 - Tutti indagati, ma nessun arresto
13 - Unico indizio, una vita piena
14 - L'assassino smascherato
15 - In nessun caso restano
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PREFAZIONE

La storia, all'inizio, sembra un racconto esoterico, ma in realtà è tutt'altro e dopo una partenza "lenta" in cui conosciamo il personaggio principale (il caro estinto), inizia il vero racconto.

Le vicende girano intorno ad un uomo che si ritrova senza volerlo al centro di un intricato giallo stile Agatha Christie. Morto apparentemente in un incidente automobilistico come ce ne sono tanti, qualcosa lo trattiene dal passare a miglior vita. A mantenerlo legato alle vicende terrene che lo riguardano è il sospetto prima e la certezza poi d'essere stato assassinato. Inizialmente si ritroverà ad essere semplice spettatore dei fatti che lo riguardano e che propongono una serie di soggetti preconfezionati:

Il risultato è uno strano mix di generi il cui insolito gusto è tutto da assaporare.

A complicare le cose la comparsa inaspettata di un aspirante scrittore di gialli che si dimostrerà un arguto indagatore alla Ellery Queen, scombinando le carte relativa a questa banda degli "onesti" e realizzando uno strano mix di generi la cui commistione è tutta da assaporare.

Così, gradualmente, l'affresco esoterico a tinte pastello che proposto all'inizio diventerà un dipinto a tinte forti popolato da molti chiaroscuri in cui un cadavere eccellente, un'arma non convenzionale e una quantità ragguardevole di sospettati, tutti con un numero esagerato di moventi, fanno da pretesto per una trama che si rifà ai classici del giallo.

Un'altra particolarità del romanzo è l'assoluta mancanza di nomi e descrizioni. Tutta la scenografia e il casting di questo dramma noir viene quindi affidato alla fantasia del lettore.

Il male trionfa sempre,
se chi lotta per il bene
smarrisce la speranza e
smette di combattere.
Non c'è bisogno d'eroi,
ma solo di gente comune
dotata di coraggio e
disposta a opporsi
al male e all'iniquità.

I - Quando meno te l'aspetti

Non rammento con precisione cosa fosse accaduto. Ricordo solo che stavo tornando a casa lungo la strada provinciale 111 (quella che collega Thiene a Bassano del Grappa) e che l'auto urtò qualcosa sull'asfalto. Suppongo si fosse trattato di un oggetto tagliente, perché un istante dopo il pneumatico anteriore di destra esplose. Non intendo forato e afflosciato, ma letteralmente scoppiato nemmeno fosse uno di quei palloncino che si vendono alle fiere. Fatto sta che persi il controllo della mia autovettura. Così mi ritrovai a roteare su me stesso, agganciato al sedile tramite le cinture di sicurezza che tenevo come sempre allacciate, ma allo stesso tempo prigioniero in quel abitacolo.

Come detto, ero immobilizzato al sedile perché utilizzavo le cinture e fu grazie (mai termine fu più appropriato) a loro che mi salvai.

Nella rievocazione dei fatti, so che l'auto alla fine finì nel fosso che correva lungo il ciglio della strada e che gli air-bag avevano funzionato. Rammento la paura, il terrore e la strana sensazione che provai quando capii d'essere sopravissuto, quasi per miracolo, a morte certa.

Ricordo la fatica che feci per aprire la portiera ed uscire, lo sforzo che compii per arrampicarmi lungo la parete scoscesa del fosso. Ho ancora la sensazione dell'erba tra le dita, del fango addosso e il ritmo affannoso del mio respiro che mi rendeva impossibile gridare. Perché volevo gridare, non ricordo se di terrore o di gioia ma avrei voluto urlare, se solo avessi avuto sufficiente fiato in gola per farlo.

In un certo senso la mia memoria s'interrompe qui o, meglio, un istante dopo, quando barcollando giunsi sul ciglio della strada e, accecato da due fari abbaglianti spuntati improvvisi dal nulla, passai a miglior vita. Quando dico che i miei ricordi finiscono lì, intendo che non ho nessuna reminescenza di un impatto, dell'eventuale dolore o del mio corpo straziato.

Fango, asfalto, luci e poi il nulla.

In che modo potrei spiegarvi cosa m'è successo?

È difficile. No, di più. È impossibile descrivere certe cose se non le si è mai vissute. Anche se “vissute” non mi pare un termine appropriato per esprimere le sensazioni provate nel cessare di vivere.

Insomma, come si fa a vivere la propria morte?

Forse un esempio potrebbe rendere più semplice la mia esposizione dei fatti.

Sappiate che la mia esistenza non s'è spenta allo stesso modo di un fuoco che diventa brace e poi cenere ma all'improvviso. Avete presente quando qualcuno preme l'interruttore di un'abatjour per spegnerne la lampadina? Un attimo prima ero, un attimo dopo non ero più.

Anche se la cosa sembra crudele (anzi, senza se e senza ma, lo è) nel volgere di un istante passai dall'acceso allo spento e mai paragone fu più azzeccato. Se ci pensate bene: la lampadina, seppur spenta e nascosta agli occhi dal buio che la circonda, esiste ancora. Ecco, il mio esistere era ed è tuttora rappresentato da questa “coscienza di me stesso” che continuo a mantenere.

Riassumendo lo stato delle cose, supponiate di tracciare una linea di confine tra la vita e la morte, una linea sottilissima. Un millesimo di millimetro prima la mia esistenza scorreva simile alla vita d'ogni altro essere vivente. Dopo (per così dire “da qui in poi”), ciò che popola la mia mente non sono più i ricordi di un vivo ma altro. Dico altro, perché il passato per uno che è appena morto non è una cosa facile da comprendere, nel senso che il termine prevede continuità invece, nel caso in questione, si tratta di un inizio improvviso. Insomma, se esiste la reminescenza, io ritengo sia qualcosa di simile al primo pensiero che può scaturire da un embrione una volta si sia sviluppato il cervello. Ecco ai morti accade qualcosa di simile.

Che non fossi più vivo apparirà a tutti voi un fatto indubbio, visto che per un vivo è impossibile sollevarsi a un metro e mezzo dal suolo per osservare il proprio corpo che giace disteso sull'asfalto mentre due fanali rossi s'allontanano rapidamente dal luogo dell'incidente. Credo sia altrettanto difficile comprendere che un vivo possa restarsene a osservare il proprio cadavere mentre viene straziato da autovetture e autotreni.

Appare anche evidente che nessun vivo, dopo essere stato travolto e spappolato da parecchi autoveicoli, farebbe una capatina dalla moglie per poi tornarsene lì, dov'è morto, standosene fermo e immobile su quella provinciale fino al giungere del mattino.

Perché fu all'alba del giorno dopo che qualcuno si fermò (probabilmente chiedendosi cosa mai potesse essere quel mucchio di carne e ossa sfracellate lungo la corsia della statale) e decise d'informare le autorità che un'auto era finita in un fosso e che sull'asfalto c'erano ossa e carne spappolate per centinaia di metri.

Già, dopo tutte quelle ore ero diventato solo un mucchio di carne e ossa sfracellate. Mi hanno riconosciuto grazie all'auto nel fosso e per riempire la mia bara m'hanno dovuto raschiare dall'asfalto, ma ci pensate?

Per tre ore hanno dovuto deviare il traffico sulla vecchia Gasparona. Traffico congestionato, autotrasportatori incavolati, cittadinanza inviperita e tutto ciò per colpa mia.

Questi però, come vi ho spiegato, non li definirei ricordi, perché è un concetto che riferirei alla vita e questo stato di provvisorietà in cui mi trovo adesso sinceramente non assomiglia in alcun modo alla vita. Nemmeno un'altra vita.

Insomma, ero solo spettatore degli eventi che accadevano ai miei resti mortali. Inoltre, rispetto alle mie aspettative non c'era stata alcuna luce da seguire. Casomai, prima di morire c'erano stati due abbaglianti da cui avrei dovuto fuggire e null'altro.

Niente cori angelici. Nessun senso di pace. Il nulla più assoluto e, quasi a riempire quel niente, io.

A questo punto c'è da chiedersi: può qualcosa d'incorporeo riempire il vuoto più assoluto?

Simile a un astronauta durante una passeggiata nello spazio, fluttuavo nei pressi del mio corpo (o meglio a ciò che restava) quasi fossi legato ai miei resti mortali da un invisibile cordone ombelicale.

Ecco perché mi ero involontario spettatore dei fatti che riguardavano ciò che era stato il mio contenitore. Un involucro a cui evidentemente ero ancora legato, non perché egoisticamente ritenessi di dover vivere ancora, ma perché – credo – era l'unico strumento che mi permetteva ancora di condividere le persone che amavo.

Se ritenete che lo scempio dei miei resti mortali fosse stato la cosa più penosa a cui dovetti assistere, ebbene vi sbagliate. Infatti, il momento più straziante si rivelò il mio funerale.

Molti ritengono che le esequie siano un momento in cui la presenza di molte persone risulti gratificante per il caro estinto. Vi assicuro che non è così.

Molti presenziano come si trattasse di un atto dovuto, dimostrando una condotta che poco s'addice a quel momento di cordoglio. Le persone che ci volevano bene (i “migliori”) durante quella cerimonia sono solamente straziati dal dolore e veder soffrire le persone che si amano non è per nulla gratificante, soprattutto se non c'è concesso in alcun modo di poterle consolare.

Fin qui quello che di sicuro riesco a farvi comprendere è che con la morte non finisce tutto. Che, insomma, qualcosa dopo c'è. Tuttavia, se questo qualcosa fosse ciò che vi ho finora descritto, il suicidio sarebbe certamente l'ultima delle idee che potrebbe venire in mente a una persona dotata di buon senso.

Infatti, se annullare la propria esistenza è la quinta essenza del fuggire da tutti e da tutto, allora questa morte (intendo dire quella che mi riguarda e che sto descrivendo) non è una fuga ma un'angosciante prigionia.

Approfondendo quanto ho fin qui tentato di descrivere, essa sarebbe simile a una reclusione in uno stato d'isolamento dagli altri che tuttavia non ci esclude dalla loro vita ma al contrario acuisce il senso di privazione insito nell'osservare senza poter interagire.

Oddio, tutto ciò sarebbe veritiero se non ci fosse dell'altro...

Ora, non so se la mia condotta morale in vita non fosse stata così virtuosa da avermi condannato alla privazione del diritto a un dolce trapasso. Né se la medesima non fosse stata sufficientemente riprovevole da costringere la mia anima a subire questo senso di sofferenza e privazione in eterno. So solo (e sono qui a portare testimonianza) che non è così.

Come?

Tramite un medium.

Nulla a che vedere con quei personaggi esoterici che dicono di comunicare con l'aldilà. Niente vestiti stravaganti. Nessuna voce dell'oltretomba ma un tono che definirei normale e pacato. Una persona qualunque, insomma. In realtà un imbrattacarte da quattro soldi che vorrebbe fare lo scrittore di gialli, ma che da anni riempie i suoi cassetti solo di incipit. Un'infinità di idee primordiali che però non hanno mai avuto l'onore di trovare compimento e, quindi, editore.

Poiché non è mai importante il mezzo ma il fine, torniamo alle nostre vicende, anzi alle mie.

Come dicevo, le cose non furono così tremende come appaiono dalla mia descrizione iniziale. Per fortuna, se ci si è comportati con un minimo di decenza durante la vita terrena, qualcosa di meraviglioso accade, perché dopo la morte non finisce tutto, come vi ho spiegato.

C'è qualcosa in noi che dura anche dopo il trapasso e che ha la stessa consistenza dei sogni. É proprio questa materia, facilmente plasmabile dalla nostra mente, la chiave (anzi il grimaldello) che permette di comunicare tra questi due mondi. Attenzione, parlo di un'energia psichica non del cervello. Quello è materia che degenera e (nel mio caso) era finito spiaccicato sulla nuova Gasparona. Dunque, io mi riferisco a qualcosa che da vivi percepiamo come un qualcosa di ben più intimo di un organo vitale: la coscienza di noi stessi. Ciò che i religiosi definiscono l'anima e i filosofi chiamano l'io intellettuale. Quel qualcosa, insomma, che rende il nostro pensiero qualcosa di molto più complesso di un banale fenomeno elettrochimico tra neuroni. Un evento che non è assolutamente possibile replicare in laboratorio e che dà all'essere umano un qualcosa in più.

Comprendere ciò non è una cosa così semplice e così automatica. Si tratta di una faccenda complessa e di un avvenimento raro come lo può essere il vero amore, anche se le due cose (a qualcuno potrà sembrare strano) sono strettamente sconnesse. Attenzione non mi riferisco all'Amore, cioè quel sentimento unilaterale con la maiuscola che ci provvede di ali per strappare i nostri piedi dal suolo e trascinarci almeno tre metri sopra al cielo. No, quell'amore poi finisce, le ali all'improvviso svaniscono e cadendo da tre metri d'altezza ci si fa maledettamente male.

Io parlo, piuttosto, di quell'amore fatto di piccole e semplici cose che è l'esatto opposto dell'abitudine anche se vive e si nutre di quotidianità.

Una sola cosa lega due persone per sempre: l'affinità elettiva che si viene a creare tra le loro anime. Il guardare sempre e comunque nella medesima direzione tenendosi per mano. Quella forza interiore che è la possibilità stessa di poter vivere e vedere concretizzati i propri sogni.

L'amore non è tormento. L'amore non è sofferenza, mal di stomaco o qualsiasi altro senso di disagio psichico o fisico. L'amore non è nemmeno l'esplosione di mille fuochi d'artificio. L'amore è un insieme di brevi sensazioni di felicità che si creano nella più assoluta normalità.

Orbene, pur con i normali screzi e dissapori che nascono dall'umana convivenza, in vita io avevo sperimentato tutto ciò con mia moglie. Una vita condita da spezie a volte troppo piccanti e a volte troppo salate ma una vita sempre saporita, stuzzicante e appetitosa.

Per esperienza so che non tutti abbiamo in vita questa fortuna, ma so anche che questa “buona sorte” bisogna in qualche modo saperla scovare con ostinata pazienza e perseveranza.

Se una ricetta a questo stato di grazia esiste non lo so. Per certo ho compreso che tra gli ingredienti non ci sono certamente l'aspetto fisico e la fretta.

Sappiate però che a rendere meraviglioso il mio matrimonio era il fatto di svegliarmi ogni santo giorno vicino a lei. Ascoltarne il respiro e respirare il suo odore. Come so per certo che era la medesima cosa anche per mia moglie.

Capisco bene che tutto ciò desti nella maggior parte di voi un'enorme invidia, perché questo amore (tutto scritto in minuscolo) è un evento ben più che raro, eppure il legame tra noi era – e ancora è – di questo tipo. Quali parole potrei utilizzare? Credo calzi a pennello la frase: a un livello superiore.

Ora, noi che stiamo dall'altra parte (Paradiso, Valhala, Eden o Shangri-La in fin dei conti il nome dipende da come si è stati abituati a chiamarlo) grazie alla nostra forza psichica – l'io intellettuale, appunto – siamo in grado di generare un “mondo” intorno a noi a nostra immagine e somiglianza. Un “posto” dove le nostre colpe ci tormentano e i nostri atti probi ci gratificano.

Un “luogo” dotato di cristallina limpidezza – sia in positivo che in negativo – illuminato od oscurato dalla presenza o dall'assenza del Divino che è tutto intorno a noi e anche in noi, se lo sappiamo ascoltare.

Come ho detto, in vita non sono stato uno stinco di santo, ma Dio è infinitamente misericordioso e conosce bene le nostre fragilità.

Ho così scoperto che Lui non ci giudica, lascia che il nostro giudice supremo sia ciò che noi reputiamo essere stata la condotta della nostra esistenza. Questo può auto-condannandoci a non percepirLo come accadeva mentre eravamo in vita o ad averne una percezione più o meno definita, sempre come avveniva mentre eravamo in vita. Tuttavia, ciò accade con una limpidezza tale che l'irreale è più tangibile di quanto non fosse la realtà durante la vita terrena. Questo perché durante la nostra esistenza siamo distratti da mille eventi, piccoli strappi alle regole che rendono sempre credibile e plausibile ogni giustificazione alla nostra imperfetta condotta morale.

Poiché mi sto addentrando in concetti di filosofia pura che da vivi è difficile poter comprendere (salvo essere delle grandi menti illuminate dalla grazia di Dio) vedo di tornare all'argomento centrale della mia narrazione, che non è l'aldilà, ma l'aldiqua. Almeno credo sia così per voi che leggete.

Come premesso, il legame con la mia signora era (e i fatti che andrò a narrare lo dimostreranno) di un'intensità particolare.

Dovete sapere che la notte stessa del mio decesso, mentre credevo di dover restare attonito a fissare lo strazio delle mie spoglie mortali, fui catapultato all'improvviso a Bassano in quella che era la nostra camera da letto.

Inizialmente fui risucchiato quasi fossi stato evocato in quel luogo da qualcosa o qualcuno, poi mi trovai a seguire in ogni movimento della mia sposa nemmeno fossi stato un cane al guinzaglio del padrone.

Ora, nonostante dall'aldilà m'arrivassero chiari segnali che mi consigliavano di vivere nella sua completezza questa nuova situazione extracorporea, “qualcosa” mi teneva legato ai miei affetti terreni, rendendo difficile a quella Voce la possibilità d'essere percepita. Quel “qualcosa” era l'amore che ancora sentivo per mia moglie. Un'energia che era più forte di tutto, persino della voce stessa di Dio che mi stava urlando in quel frangente tutto il suo amore.

Ero passato da una situazione di disagio a un'altra. Trascinato via dalla mia carne straziata, stavo comprendendo solo adesso il vero senso dell'aggettivo impotente.

Come detto, non avevo provato dispiacere nel vedere il mio corpo sbrindellato e tormentato da auto e autotreni. Piuttosto, la mia era stata una condizione di quieta rassegnazione. Quasi che tutto ciò, nel momento steso in cui avevo percepito gli abbaglianti venirmi addosso, fosse stato un evento ineluttabile.

Non m'era passato nemmeno per un istante il dubbio di perché fosse dovuto capitare a me. Di quale beffardo destino aveva fatto arrivare quell'uomo o quella donna proprio lì e in quel esatto momento.

Per farla breve, non c'era stato il tentativo di cercare un pietoso alibi in tutta quella serie di strane coincidenze, ritardi o mancanze al codice stradale che avevano permesso a quel “killer” d'arrivare in orario all'ora del “mio assassinio”, perché la morte è sempre puntuale a questo tipo d'appuntamenti, punto e basta.

Adesso, inconsistente come può esserlo solo un fantasma, osservavo l'immagine stranamente indistinta e sfuocata della mia sposa in preda all'agitazione. Un po' preoccupata per la cena che si stava raffreddando, molto più preoccupata per il mio inspiegabile ritardo e per il tempo che passava senza una chiamata chiarificatrice.

Dovete sapere che in vita ero sempre stato un tipo puntuale e, quelle poche volte che m'ero trovato a che fare con qualche impedimento, avevo sempre avvisato per tempo chiunque mi stesse aspettando.

Mia moglie continuava a girare ciclicamente da una stanza all'altra, angosciata anche dal fatto che ai suoi tentativi di chiamarmi io non rispondessi, nonostante il mio telefono cellulare squillasse.

Pensate quale assurdità, tutto di me era andato in frantumi (muscoli, interiora e ossa) ma quello stupido oggetto no. Stupido non perché fosse inutile ma perché, nonostante io non lo potessi più utilizzare, lui continuava inutilmente a trillare.

Istintivamente provai a parlarle, ma senza sortire alcun risultato. Provai anche ad abbracciarla, ma l'esito fu solamente tragicomico.

Reso impotente dal mio stato incorporeo e giacché nessuna delle mie parole di conforto sembrava essere udibile, l'unica cosa che mi venne da fare (per quanto assurda) fu quella di concentrarmi per rivolgerle quasi telepaticamente i miei più autentici pensieri d'amore, reputando tali sentimenti così intensi da poter travalicare anche quella barriera.

Nonostante il mio stato evanescente, provai uno strano senso d'affaticamento, neanche si fosse trattato dello sforzo fisico fatto per sollevare qualcosa di immensamente pesante.

Riprovai. Niente! Tutto pareva inutile, almeno fino a quando non m'allontanai e mia moglie, vinta dalla fatica e dalla tensione fisica, s'abbandonò sul divano.

Non stetti lì attendendo che s'assopisse ma vagai impotente tornando, senza averlo in realtà desiderato, lì dove le mie reliquie sparpagliate giacevano, fino al sopraggiungere dell'alba e con essa dell'istante in cui il telefono di casa nostra squillò. Mi ritrovai così istantaneamente risucchiata nella mia abitazione e come spettatore osservare la scena di mia moglie che trasaliva e brancolando nel buio cercava d'afferrare il risponditore.

Non intesi nemmeno una delle parole che provenienti dalla cornetta ma l'espressione che assunse (allo stesso tempo rassegnata e sconvolta) mi furono sufficienti per intuire il motivo di quella chiamata.

Il labbro inferiore le tremava, quasi si trattasse di uno spasmo. Un attimo dopo una lacrima le percorse lentamente la guancia per sostare un istante sul mento prima di cadere a terra. Infine, la vidi prorompere in un pianto ininterrotto e in qualche modo liberatorio.

Impotente e addolorato, la fissai mentre cadeva a peso morto sul letto si dibattendosi, scalciando e urlando. Poi, quando lo stress emotivo, la stanchezza e il crollo delle funzioni metaboliche la strapparono dal dolore, la vidi scivolare in un sonno lungo e profondo.


II - Tra cielo e Terra

Se quanto era accaduto durante la mia morte poteva sembrare strano, quello che mi successe poco più tardi parve avvalorare l'ipotesi del sogno.

Nell'esatto momento in cui mia moglie cadde preda del sonno, avvenne qualcosa di miracoloso.

L'urlo di dolore e il successivo interminabile eco psichico da lei prodotto scomparvero all'improvviso, liberandomi da quella specie di soggiogata prigionia che m'aveva prima attratto e poi legato a casa nostra. Il silenzio che ne derivò mi permise così d'udire finalmente e chiaramente l'invito che mi richiamava verso luoghi migliori, ma – prima di dare ascolto a quel suggerimento – conscio del fatto che si sarebbe trattato di un addio, decisi di fissare per l'ultima volta il volto della mia consorte che giaceva supina sul letto.

Inaspettatamente, ebbi di fronte a me una visione di mia moglie particolarmente nitida. Mi spiego meglio, quando parlo di un'immagine chiara, non intendo reale e corporea ma l'esatto opposto: incorporea.

Ciononostante il suo corpo appariva – a quella che ora era ed è la mia vista – ben definito in ogni dettaglio.

Ho poi scoperto che da “trapassato” si vede chiaro e distinto quello che è incorporeo laddove, al contrario, la realtà appare come qualcosa di confuso e sfuocato.

Insomma, per le cose terrene ero diventato un “non vedente”, mentre il futuro, i desideri e i sogni apparivano ai miei occhi quasi fossero realtà, solo che non m'era possibile distinguerli tra loro.

Cosicché riuscivo a scorgere l'orizzonte degli eventi, senza però distinguere ciò che sarebbe stato possibile da ciò che sarebbe stato certo.

Adesso – che con il passare del tempo ho appreso in che modo funzionino molte cose – so che per i defunti il futuro è una realtà fluida e in continuo mutamento e so anche che mia moglie addormentandosi m'aveva – per così dire – raggiunto in quel “mondo dei sogni”. In questa maniera eravamo diventati della stessa consistenza o – meglio sarebbe dire – della medesima inconsistenza.

Ora – mi scuso se mi ripeto, ma è solo per farvi comprendere appieno quanto vi andrò a descrivere – dovete tenere presente un altro elemento, cioè che per i morti la realtà è percepita quasi fosse una moltitudine inconsistente d'immagini che rappresentano oggetti e persone “illusorie”, attraverso le quali posso passare, ma che in alcun modo riescono a toccare. Venendo al sodo, il mondo dei vivi – per i morti – altro non è che un luogo popolato da “fantasmi”.

Tornando ai fatti, nonostante nel letto ci fosse un'immagine reale – ma sfuocata – di mia moglie dormiente, poco al di sopra qualcosa che ai miei occhi era dotata di fisicità mi guardava e, cosa ancor più strana, mi sorrideva come se anche lei avesse una nitida visione di me.

Per farla breve, di fronte a me – seppure a mezz'aria – c'era mia moglie in “carne ed ossa”, almeno questa era la percezione che ebbi.

« Ciao, » mi disse sorridendo e togliendomi ogni dubbio a riguardo del fatto che anche lei mi vedesse.

« Ciao, » risposi quasi incredulo.

Istintivamente mi diressi verso lei e il primo gesto che mi venne in mente da fare fu quello di darle una carezza.

Difficile descrivere cosa provai nell'avvertirne – per mezzo di ciò che sapevo essere solo l'idea dei miei polpastrelli – il contatto con la sua pelle vellutata.

Era qualcosa di ben più complesso della semplice sorpresa, basti pensare al fatto che per tutta la giornata avevo provato a toccarla senza riuscire nell'intento.

Cosicché, qualcosa di simile ad un pianto di gioia riempì di lacrime l'idea che avevo dei miei occhi e, prima di dire una qualunque frase o concepirne anche solo il pensiero, le mie labbra si posarono su quelle di mia moglie. Fu un bacio così intenso che parve quasi strapparmi alla vita o – vista la mia situazione contingente – restituirmici.

L'emozione inattesa che provammo in quel gesto, la portò a svegliarsi all'improvviso e l'immagine – per me concreta – che avevo di fronte svanì inaspettatamente, simile ad una bolla di sapone esplosa all'improvviso.

Così mi trovai di nuovo a fissarne l'immagine sfuocata sul letto nello stesso modo in cui l'avrebbe fatto un astigmatico.

Adesso non era più supina sul letto, ma se ne stava seduta sul bordo del letto. Aveva un'espressione stupefatta. Il che era del tutto plausibile, visto che non ero “morto” o almeno non lo ero del tutto. Insomma, c'era ancora la possibilità di rincontrarci. Per ora la cosa si sarebbe realizzata nel mondo dei sogni, ma più in là – in quest'altra vita – sarebbe stato possibile concretizzare la nostra condivisa promessa di un amore “per sempre” ricongiungendo le nostre anime.

Felice per quanto avevo sperimentato, pensai che l'aver vissuto quest'esperienza l'avrebbe risollevata.

Non fu così, perché fu presa da una crisi di pianto isterica e le conseguenze – perlomeno per i giorni successivi – furono tragiche.

Ogni volta che m'incontrava nel mondo dei sogni, tendeva a cacciarmi e fuggire da me gridando: « Andrea vattene, lasciami in pace! »

Così feci.

Me ne andai, se non altro per un po' di giorni, perché qualcosa in cuor mio mi suggeriva che era giusto così, che sia lei che io dovevamo abituarci a questo nuovo stato di cose e – quando entrambi avessimo ben “digerito” cos'era successo – tutto sarebbe stato possibile.

Fu così che ricominciai a sentire nitidamente la voce di Dio che mi chiamava a sé.

Nel giorno in cui anche a voi accadrà di finire i vostri giorni terreni, non aspettatevi di trovarvi al cospetto di un vegliardo ancora in gamba. Niente veste candida. Niente nuvolette eteree. Nessuna parodia cinematografica.

Dio esiste – questo ve lo posso assicurare – ma è inconsistente. Pur non potendolo definire un “qualcosa”, non è nemmeno un “qualcuno”. È forse più simile ad una voce dentro la testa.

Vedrò d'essere più chiaro utilizzando un paragone più vicino alle vostre esperienze terrene. La cosa funziona un po' come la radio di un'automobile. In un'autoradio sintonizzata sulle frequenze medie la bontà della ricezione risente del fatto che la vettura si muove. Allo stesso modo la voce di Dio giunge a noi.

Lo so quest'immagine è più calzante a d.j. 'O che a Dio per questo tenterò di spiegarmi meglio. Dio trasmette sempre, ma noi non sempre siamo in grado di recepirne il suo segnale in modo chiaro e distinto. Anzi, il timor di Dio e i sensi di colpa spesso ci portano a spegnere quell'autoradio, tuttavia Dio non è misero come lo sarebbe un qualsiasi essere umano e, fortunatamente, la sua misericordia è infinita. Tanto per intenderci, maggiore di quella che un genitore indulgente avrebbe per i propri figli.

Fu così che imparai a creare intorno a me il “mio” ambiente. Un qualcosa a mio specifico uso e consumo, quindi a mia misura.

Nonostante la grandezza, non era nulla di megalomane o egoistico. Tenendo conto che nulla mi sarebbe stato impossibile, si trattava di una villetta immersa in uno sconfinato parco, popolato da numerosi animali selvatici e attraversato da un corso d'acqua che, dopo alcune cascate, formava un piccolo laghetto dove io potevo bagnarmi. Qualcosa di simile alla casa nel bosco dei sette nani di Biancaneve – tanto per intenderci – in cui cerbiatti, coniglietti e uccellini gironzolavano liberamente e in armonia con me e tra loro.

Particolare strano, almeno per un vivente, era quello che nella mia villa non ci fossero i servizi igienici, perché – ovviamente – nell'aldilà non ci sono funzioni corporali. Soprattutto – cosa per cui forse varrebbe la pena morire – non esiste lo sporco!

Seppure a questo punto possa apparire strano, c'era la cucina. Questo perché il bere e il mangiare non sono solo due funzioni necessarie, ma fanno parte delle cose gratificanti della nostra esistenza e, anche se non era più necessario nutrirsi – c'è lo spirito del Creatore che provvedeva a ciò – avevo voluto mantenere nel mio piccolo mondo soprannaturale questa prerogativa terrena.

Grazie alla mia fantasia e al materiale plasmabile di cui sono costituiti i sogni, avevo generato il luogo in cui mia moglie ed io avremmo desiderato consumare la nostra vecchiaia insieme, perlomeno se ci fosse stata concessa questa possibilità dalla vita.

Nella villa, priva di finestre perché la luce di Dio pervadeva ogni cosa, le pareti erano popolate di quadri e librerie piene di capolavori letterari e testi scientifici. Qualsiasi cosa avessi desiderato leggere durante la mia esistenza terrena era lì, rilegata in edizione di lusso, e le pareti non erano popolate di quadri dozzinali, ma dei simulacri immateriali dei capolavori che più amavo. Così il “tondo Doni” di Michelangelo faceva bella mostra di sé sopra ad un caminetto, quasi l'avessi sottratto alla galleria degli uffizi di Firenze per collocarlo lì dove l'avevo sempre desiderato durante la mia esistenza.

Un altro concetto che risulta assente è quello dell'usura o, più in generale, del danneggiamento o dell'invecchiamento. Vedo di chiarirvi meglio il concetto: le poche pareti libere erano, infatti, dedicate ai più bei affreschi della storia dell'arte, ma nel loro stato primigenio. La parete nuda della mia cucina accoglieva il cenacolo, ovvero l'ultima cena dipinta da Leonardo da Vinci. Lì, Gesù Cristo e tutti i suoi commensali erano perfettamente nitidi e i loro lineamenti integri, così come lo erano nel giorno in cui la mano dell'autore li aveva dipinti.

Nel salotto i due maestri italiani si sfidavano uno di fronte all'altro con le loro versioni della battaglia d'Anghiari, capolavori che in realtà erano andati perduti. Nella mia camera da letto, la scuola di Atene di Raffaello Sanzio mi fungeva quasi da testiera.

Chiarito il concetto, torniamo ai fatti.

Lasciate le ansie terrene al mio passato, mi distesi sulla comoda poltrona al centro della mia libreria lasciandomi rapire dalla bellezza del capolavoro di Michelangelo e dalla perfetta finitura del caminetto che esso sovrastava.

Un istante dopo un crepitio delle braci accompagnò e ravvivò la danza delle fiamme nella parte interna del focolare.

Ovviamente il caminetto non serviva per scaldare l'ambiente. Qui non si patisce né caldo né freddo e, nonostante non ci sia il concetto di stagione, il mio giardino assume i colori della primavera, dell'estate, dell'inverno o dell'autunno in base a come mi sento, cosicché mi basta pensare al Natale perché giungano i colori della stagione fredda e un candido manto di neve ricopra ogni cosa, ma il tutto senza che vi sia gelo.

Insomma, sarebbe stato tutto perfetto o quasi. Nonostante tutta quest'armonia, qualcosa dentro non andava per il verso giusto.

Era come se mi mancasse qualcosa e non può mancare alcunché nella casa del padre, perché – se in quel luogo si provasse il senso di bisogno – allora non potrebbe più essere il Paradiso.

Era evidente che il mio senso d'incompletezza era connesso al fatto che mi mancasse mia moglie.

All'epoca, non trovavo altro motivo per spiegare questo persistente e forte legame che continuavo ad avvertire con le cose terrene.

Badate, se ancora non lo avete intuito, mia moglie – per me – non è una donna come le altre. Lo so, tutti i mariti innamorati dicono così, anche quelli la cui moglie li tradisce, ma per me lei era ed è unica ed insostituibile.

A differenza di molti amici o conoscenti che avevano abbandonato le loro consorti, oppure le avevano frequentemente tradite o anche perse per cause più o meno naturali, ma poi comunque “rimpiazzate”; io non sarei mai riuscito a tradirla o rimpiazzarla. Le sarei rimasto sempre e comunque fedele. Se l'avessi perduta prima della fine dei miei giorni, sarei rimasto dignitosamente solo a consumare la mia esistenza nel ricordo.

Credo che fu nel momento stesso in cui presi coscienza di ciò, che il collegamento tra lei e me – che pareva interrotto – si rimise in funzione.

Dopo quelli che per me erano stati giorni d'irrequietezza, fui pervaso d'improvviso da un senso di pace, cosicché compresi che lei s'era fatta una ragione della mia morte, che – nonostante non desiderasse un altro uomo nella sua vita – il dolore che all'inizio l'aveva sopraffatta ora era scomparso. Già, seppur con notevole difficoltà, infine l'accettazione della mia dipartita aveva sostituito l'iniziale rabbia e con essa l'ottuso diniego della cruda realtà dei fatti.

La lontananza da lei, in questo mio dorato esilio, le aveva consentito di transitare attraverso tutte e cinque le fasi che accompagnano la morte di una persona cara e che precedono il ritorno alla quotidianità:

Quando quel canale fu riattivato – cioè quando la disponibilità d'animo di mia moglie la rimise in grado di ricevere i segnali d'amore che continuavo nonostante tutto a inviarle – il mio spirito venne letteralmente risucchiato verso di lei, quasi fosse stato aria per dei polmoni.

Così, un attimo prima ero a passeggio per il parco che circondava la mia villa e un attimo dopo mi ritrovai in un cimitero. Non uno qualsiasi, ma quello di Angarano. Il camposanto in cui erano stati sepolti tutti i miei cari e – da ultimo – anch'io.

Aleggiavo proprio davanti alla mia lapide e, dietro di me e in caratteri d'ottone su marmo, c'erano:

Non era una generica foto-tessera, ma quella che mia moglie – Anna Cadore – aveva sempre amato particolarmente perché avevo un'espressione felice, io che tendenzialmente non ridevo mai e nelle foto sembravo sempre essere o pensoso o arrabbiato.

Di fronte a quel mio sepolcro, intenta a fissare quella mia istantanea c'era mia moglie Anna. Pallida e smunta come mai l'avevo vista in vita mia. Probabilmente intristita da quella strana forma d'amore che si nutre nei confronti dei morti.

Tra le mani reggeva un mazzo di fiori che esitava a deporre. Intuii da tutti quegli imbarazzi che questa doveva essere la sua prima visita al cimitero dopo quella del giorno del funerale.

Come non potevo comprenderla? Avevo già vissuto anch'io quella tragica esperienza con i miei nonni – prima – e con i miei genitori – poi.

Entrare lì dentro, durane il periodo della negazione e della rabbia, le avrebbe provocato solo dolore, ma adesso – con l'accettazione di quanto era accaduto – ritornare le avrebbe potuto infondere serenità, malgrado lei fosse atea.

« Amore mio, » le dissi d'istinto, anche se sapevo che non poteva udirmi, « se tu avessi la fede! Sai è una gran cosa. Di certo è meglio della rabbia e del dolore, perché conferisce serenità e non afflizione. »

« Lo so tesoro, » affermò, quasi m'avesse ascoltato. « Ti sembrerà strano, ma è come se ti sentissi. Intendo qui, vicino a me, in questo preciso momento. »

Ebbi una sensazione di déjà-vu quando notai che una lacrima le si era formata nell'angolo di un occhio per scorrerle poi lungo la guancia.

Stupidamente volli asciugarla con una carezza.

Rimasi esterrefatto, perché provai la sensazione del contatto epidermico e il mio “tatto” mi indicò chiaramente che qualcosa aveva bagnato il mio dito indice.

Osservai la mano e sulla falange del dito indice brillava una lacrima, seppur in modo torbido e confuso, perché è così – come vi ho spiegato – che io percepisco la realtà.

Istintivamente portai il dito alla bocca e, sorpresa tra le sorprese, riuscii ad assaporare il gusto salato di quella lacrima.

Rammentai le parole del sacerdote nel giorno del nostro matrimonio: « Dio ha molti modi per rivelarsi e a volte i miracoli di cui è capace sono in realtà piccole cose! »

Passeggiammo entrambi, fianco a fianco verso casa, come se lei mi vedesse. In realtà credo che lei percepisse solo irrazionalmente la mia presenza. Dopotutto accade spesso che chi sopravvive al proprio congiunto, ami pensare che questo dall'aldilà lo possa ascoltare.

Camminammo nel vicino parco nello stesso modo in cui l'avrebbero fatto due innamorati e nel frattempo lei mi raccontava cosa fosse accaduto nel frattempo, come fosse tornata alla vita e al lavoro e come le mancassi, tanto.

« Anche tu mi manchi, tantissimo. Se non fossi già morto, ti direi che mi manchi da morire. »

« Che sciocchino! » Parve replicarmi, ridendo.

Non nego che fui colto da stupore nel sentire quel tipo di risposta, data tra le altre cose proprio in quel esatto momento. Privato quasi dalla parola per quanto accaduto, rimasi sempre in silenzio ad ascoltarla, anche perché sembrava avere così tante cose da raccontare!

Giunti a casa disse: « Eccoci a casa, amore. Forse ti sembrerò stupida e forse lo sono. Una volta non avrei mai pensato in questo modo. Una volta non credevo a niente. Tuttavia, inspiegabilmente, ho quasi la sensazione che tu possa ancora sentirmi e lo psicoterapeuta mi ha detto che – se questa cosa mi aiuta ad andare avanti – l'assecondi pure. Mi ha anche suggerito, eventualmente, di scriverti qualche lettera. »

« Scrivimi pure, ma per posta aerea! Sai com'è, credo che il postino – adesso come adesso – abbia qualche difficoltà a trovarmi! »

« Che sciocchino! Adesso ti saluto. Sono stanca. Era la prima volta che venivo a trovarti in cimitero e tutto questo stress mi ha affaticato. »

Salì nella nostra camera da letto e, con ancora tutti i vestiti addosso, si distese sul letto e chiuse gli occhi, precipitando improvvisamente in un sonno profondo.

A differenza della volta precedente, in cui la sua immagine s'era sdoppiata, questa volta accadde qualcosa di differente, l'involucro corporeo mi divenne all'improvviso nitido, assumendo una consistenza fisica che il resto della casa non aveva.

Quasi si fosse risvegliata all'improvviso, Anna riaprì gli occhi e parve fissarmi. Ne ero sicuro, non stava osservando il soffitto, stava guardando me che le aleggiavo sopra. Com'ero altrettanto sicuro che in quel medesimo istante l'involucro terreno di mia moglie fosse ancora in preda al sonno.

Non trovando altra soluzione logica, pensai ad un attacco di sonnambulismo o ad uno stato di tranche.

« Ciao amore, sapevo, anzi avevo quasi la certezza che ti avrei trovato qui » furono le sue parole.


III In amore nulla è impossibile

« M... mi vedi? » Le chiesi io balbettando.

« Sì, caro, ti vedo e ti sento. Come ho percepito ogni tuo pensiero d'amore in tutti questi giorni. Non so come e quando sia accaduto, ma è stato come rimarginare gradualmente una ferita, più stavo meglio e più t'avvertivo o più ti avvertivo e più stavo meglio. »

Le sorrisi e lei, con un gesto inequivocabile, mi chiamò a sé.

Cosicché mi ritrovai ad essere con il mio spirito sopra al suo corpo, percependone sia l'energia sia le morbide rotondità in una strana mescolanza tra il trascendente e l'immanente.

Potrei affermare che avvertivo il suo respiro sul mio volto, ma non so se la cosa stesse proprio in questi termini, so solo che quando passò la sua mano tra i miei capelli avvertii distintamente il tocco delle sue dita.

« Sono cresciuti » mi disse.

« Sì, ho intenzioni di portarli piuttosto lunghi, per un po'. Come quando ci siamo conosciuti. Ricordi? »

Lei, sorridendo a quel ricordo, annuì. Quindi mi sussurrò in un orecchio.

« Mi manchi tanto e avrei voglia di fare all'amore con te, ma non so se lassù... »

« Non ti preoccupare per "lassù", fare l'amore con sentimento non è peccato e poi non ci sono limiti su quanto e come farlo... "non scambiare le leggi o la tradizione degli uomini con la parola o il volere di Dio", » dissi, parafrasando un passo del Vangelo di Marco.

Ci scambiammo un bacio e l'energia profusa avvolse le nostre anime con una miriade di scintille luminose che ci avvolsero in un turbinio di colori luminescenti.

« È stupendo! » Disse mia moglie.

« Devi sapere che succede ogni volta che c'è vero amore, solo che nella distrazione, tipicamente terrena, che ci caratterizza, non siamo in grado di accorgercene. »

Cominciai a spogliarla e, sinceramente, l'eccitazione e l'emozione che provai avevano poco o nulla di spirituale, almeno per quelle che sono le normali accezioni attribuibili al termine spirituale, ma in fin dei conti il problema sta nel fatto che sto tentando di descrivervi con mezzi terreni qualcosa che trascende la normale percezione del tangibile, il ché sarebbe come voler misurare l'intensità elettrica di un fulmine con un righello.

In realtà non c'è nulla di più spirituale ed ultraterreno, nonché d'incorporeo, delle emozioni e delle sensazioni che esse ci fanno provare.

Sono il marchio stesso del Creatore in noi ed è solo l'opera della Scimmia che ci porta a confondere le cose, a ritenere erroneamente che sia peccaminoso ciò che di per sé non lo è. È l'imitazione di Dio che trasforma in maniera indiscriminata tutto in peccato. Cosicché, anche se è ovvio che non sia così, amore e lussuria finiscono per coincidere e questo tipo di convinzione, infine, portano uomini e donne verso le forme più degeneri della sessualità.

Il Maligno è per le nostre anime somiglia alla muffa per i cibi. Ne intacca e ne corrompe l'integrità, trasformando ciò che è bene in male e viceversa. Il Demonio ha quindi l'immenso potere di rende il frutto maturo – che era pronto da cogliere – marcescente.

Egli non è lo Spirito del male ma è lui stesso il Male.

« Hai perfettamente ragione amore, » affermò mia moglie.

« Percepisci anche i miei più reconditi pensieri? »

« Soprattutto quelli. Se ci pensi, tu non hai voce, quindi in realtà quando parli non emetti alcun suono. Sono solo i tuoi pensieri quelli che io percepisco. »

Il corpo di Anna nella sua completa nudità era ora sotto di me, entrambi sopra quello che era tornato ad essere il nostro letto matrimoniale.

Dall'interno del suo corpo pulsava una strana energia sotto forma di luce e tutto il pallore che avevo avvertito nell'incontro al cimitero era ora svanito.

« Sei bellissima, amore! » Esclamai, mentre con la bocca iniziai a riassaporare il gusto della sua pelle, centimetro dopo centimetro.

Così cominciai a succhiare quell'energia, nutrendomi come avrebbe fatto un neonato con il latte materno.

Qualcosa d'irrazionale guidava e controllava ogni mio gesto, in un'armonia così perfetta che non ricordavo d'aver provato prima nella mia vita terrena.

A esempio, c'era anche qualcosa che riguardava l'olfatto.

Percepivo distintamente e con intensità un odore che non avrei potuto definire un profumo, ma che su di me aveva lo stesso meraviglioso effetto. Un qualcosa che proveniva senza dubbio da mia moglie, non era emesso da una zona specifica ma da tutto il corpo.

Mi sollevai a guardarla un istante, interrompendo la mia azione. Così potei notare qualcosa che assomigliava ad una miriade di microscopiche lucciole che si libravano nell'aria emesse dalla sua pelle. "I feromoni", mi suggerì qualcuno.

Con una mano mia moglie m'accarezzò delicatamente la guancia, mentre con l'altra si divertiva a scompigliarmi i capelli. « Dolce alle mie labbra è il gusto del desiderio della mia sposa e solo alla sua fonte s'abbevera la mia bocca. Tu sei acqua che aumenta a dismisura la mia sete, cibo di cui mai riuscirò a saziarmi. Il tuo odore e come l'incenso che ottenebra i miei pensieri e la tua pelle è come l'unguento che porta sollievo alle mie ferite. » sussurrai, ma era come se una voce dentro la mia testa – quindi, anche dentro a quella di mia moglie – mi suggerisse cosa dire.

Era l'Onnipotente in perfetta armonia con noi e che rendeva la nostra unione una perfetta eufonia con l'Universo. Ricordai un brano della Bibbia letto durante il corso per fidanzati: « Serba queste parole, ti sarà dolce custodirle in cuore e averle tutte pronte sulle tue labbra. »

Nel mio cervello – o in quello che io percepivo come il luogo delle mie riflessioni – avvertivo le sensazioni e i pensieri di mia moglie.

Un pensiero all'unisono ci accomunò: quello di ricongiungerci.

Anna, fissandomi negli occhi, mi domandò: « Ma sei sicuro che non sia peccato? »

Feci di no con il capo, sorridendole.

Di nuovo – nel modo in cui m'era accaduto già diverse altre volte in Paradiso – un flash improvviso mi accecò. Era un qualcosa d'indistinto, solo che questa volta era accompagnato dal rombo di un motore. Un qualcosa che riaffiorava dalle profondità della mia memoria, come se il momento della mia morte mi tornasse in mente sotto forma di rigurgito indigesto. Un qualcosa che riempiva la mia "nuova vita" di un sapore al tempo stesso acido e amaro.

« Amore, cosa c'è? » Chiese mia moglie, che di sicuro aveva percepito un cambiamento.

Io sorrisi per rassicurala e le risposi: « Niente! »

« Sei sicuro? »

Se da vivo m'era stato difficile ingannarla, figuriamoci da morto che mi leggeva nel pensiero! Conscio di ciò le dissi: « C'è qualcosa che mi tormenta ed è difficile descrivere questa sensazione, perché non dovrebbe esserci tormento nel luogo della pace eterna... »

La luce che illuminava il volto e il corpo di mia moglie per un istante s'adombrò, come accade quando una nuvola passeggera e solitaria passa davanti al sole durante una limpida giornata d'estate. Un'ulteriore dimostrazione – se mai ce ne fosse stato bisogno – del nostro forte e quasi unico legame.

« Non ti preoccupare cara, » tentai di rassicurarla, « penso che le cose adesso si sistemeranno. L'averti vista così serena mi ha già fatto sentire meglio. »

Ebbi la visione di un telefono che squillava e, in effetti, la perfezione di quell'angolo di Paradiso in terra fu turbato dallo squillo improvviso e inaspettato dell'apparecchio telefonico.

Istantaneamente il nostro legame venne spezzato. Tuttavia, qualcosa ancora ci manteneva "uniti", perché i lineamenti di mia moglie, seppur offuscati, mi risultavano essere ancora sufficientemente dettagliati.

Destatasi, la vidi allungarsi sul letto fino al comodino per raggiungere la cornetta.

« Pronto? » disse lei.

« Pronto! Buongiorno, » risposero. « Parlo con Anna Cadore? »

Attraverso i pensieri di mia moglie ero in grado di sentire cosa le stessero dicendo al telefono.

« Sì, lei chi è? »

« Sono un giornalista, seguo i fatti di cronaca nera del Bassanese. »

« Per che giornale? »

« Per tutti e nessuno, sono un freelance. Credo lei sapesse che suo marito aveva stipulato una polizza sulla vita. Ecco, vede, » c'era un non so ché nella voce di quell'uomo e non era imbarazzo, « io vorrei poterla incontrare. Insomma, ci sono delle cose che non sono tanto chiare nella morte di suo marito. Mi scusi, ma io non riesco a parlare di certe cose al telefono, per cui – se fosse possibile incontrarla – vorrei parlarle di ciò o in ufficio da me o anche a casa sua, qualora non volesse incomodarsi a venire fin qui. »

Per quello che avevo potuto sentire della telefonata, non aveva l'aria d'essere un fulmine di guerra, né tanto meno pareva essere una volpe del deserto. Dalla voce sembrava indubbiamente giovane, dove l'utilizzo di quel termine spesso s'abbina il concetto di "alle prime armi".

Insomma, qualche giornale voleva uno scoop e s'affidava all'opera di un pivello per creare la notizia. Già m'immaginavo mio fratello sgranocchiarselo quasi fosse un corn-flake a colazione. Non che io o il mio gemello avessimo qualcosa contro i giornalisti, solo che l'altra immagine di me stesso – come mi dilettavo a chiamarlo in vita – oltre ad essere il mio omozigote era anche il mio azzeccagarbugli personale.

« Non stia ad incomodarsi. » Rispose mia moglie dopo una lunga pausa di riflessione. « Vengo io. Mi dica solo dove, come e quando. »

« Ha presente le torri di Portoghesi? »

All'improvviso, senza comprenderne il motivo, mia moglie era tornata sfuocata e, solo perché lo intuivo dal suo annuire aveva risposto di sì a quella domanda.

Dall'altro capo del telefono stavano continuando a parlare, tuttavia io non riuscivo più a sentire cosa si dicessero. Perché il mio collegamento con i suoi pensieri s'era improvvisamente interrotto?

La vidi prendere un pezzo di carta per annotarci sopra qualcosa, ma mi fu impossibile decifrare cosa avesse scritto, perché tutto intorno a me era tornato annebbiato.

D'istinto tentai di avvicinarmi, ma non appena cominciai a fare quel gesto, di fronte a me non c'era più un foglietto di carta ma un fiore e, lievemente poggiata su esso, una farfalla variopinta.

Ero tornato nuovamente ed istantaneamente nel luogo dell'eterno riposo.

Possibile che ciò che avevo "vissuto" fosse stato reale? Non era forse più probabile che il mio desiderio di rivedere Anna avesse dato luogo ad un "sogno", plasmando di conseguenza il mondo intorno a me in maniera conforme ai miei desideri? Osservai l'insetto agitare le sue colorate ali e spiccare il volo.

Leggiadra la farfalla volò per qualche metro. Poi, inaspettatamente, l'ombra di un uccello comparve straziando e divorando quel povero insetto.

Il cielo da sereno che era, si rannuvolò, portandomi istintivamente a correre verso casa. Giunsi davanti alla porta appena in tempo, perché i miei ultimi passi affettati erano stati accompagnati da una colonna sonora fatta di brontolii e di tuoni.

Grandi e pesanti gocce cominciarono a martellare il tetto, facendo tremare tegole e finestre, finché sul soffitto non apparvero – uno dopo l'altro – dei fori. Evidentemente non si trattava di un banale acquazzone ma di grandine. Grosse palle di ghiaccio compatto che simili biglie di vetro penetravano attraverso il tetto e i muri, sfondando tutte le mie suppellettili.

Memore che solo io potevo essere la causa, provai a concentrarmi per arrestare tutto ciò, ma l'unica cosa che ottenni fu il percepire sempre più debole la luce di Dio. Nonostante le cercassi ostinatamente, la mia volontà non pareva essere sufficiente a riportare la quiete, anzi anche la voce dell'Onnipotente che mi gridava il suo amore parve scemare quasi si trattasse dello sfumare del segnale sonoro durante una prova audiometrica.

È difficile descrivere cosa provai in quegli interminabili istanti in cui vidi la casa che, con tanta "fatica" m'ero costruito, sbriciolarsi e scomparire quasi fosse un castello di sabbia essiccato e spazzato via dal vento.

Il cielo da plumbeo divenne nero inchiostro e anche il pavimento in legno, nemmeno fosse stata neve al sole, scomparve trasformandosi in asfalto.

Riempii i polmoni – che più non avevo – di qualcosa che fosse simile ad aria, li gonfiai fino al punto di sentirli esplodere, quindi urlai nel disperato tentativo di chiedere aiuto.

Un eco di dolore provocato dalla mia onda psichica tornò a ribadirmi un concetto: sei solo!

La grandine si trasformò gradualmente in pioggia martellante, quindi s'attenuò divenendo una sottile pioggerellina, infine cessò all'improvviso, quasi d'incanto.

Immaginai un intervento divino, ma non ebbi nemmeno il tempo di rasserenare il mio animo che un affannoso ansimare attirò la mia attenzione. Temendo la presenza di una qualche bestia selvatica, mi voltai tremante dalla paura.

Se tutt'intorno è tenebra, in quale direzione può essere mai la salvezza?

Aguzzai la "vista".

L'asfalto su cui ero scemava verso un fosso che costeggiava qualcosa di simile ad una strada e lì qualcosa tentava di risalire il ripido argine forse per aggredirmi. D'istinto feci dei passi indietro, ma il buio che mi circondava m'impediva di prendere una qualsiasi decisione su che direzione prendere per fuggire.

Ad un tratto, dal ciglio di quello che sembrava essere un viottolo di campagna, emerse il muso di una scimmia o forse il volto di un uomo.

La faccia di quell'essere era una specie di impasto di sangue e fango. Una maschera che rendeva i lineamenti tipicamente antropomorfi – naso, bocca, occhi e orecchie – a malapena riconoscibili.

Come poteva essere giunto un essere simile nel "mio" Paradiso?

A parte il bianco dei bulbi oculari, il resto era talmente confuso da rendere quell'essere più simile all'abbozzo di statua in argilla che a qualcosa d'animalesco o d'umano.

Fissai il resto del corpo e la struttura degli arti mi evidenziò che indubbiamente si trattava di un uomo.

Cosa poteva averlo ridotto in quello stato?

Senza poter avere alcun dubbio in merito, udii chiaramente prima il mettersi in moto di un motorino elettrico e poi l'accendersi di un motore a scoppio.

Sia io che la creatura volgemmo il nostro sguardo nella medesima direzione. Per lui di fronte, per me dietro le spalle. Trascorse un solo istante tra il rimanere abbacinato dalla luce di due abbaglianti e quello d'essere entrambi travolti dall'auto.

Fu come se dentro di me si fosse squarciato qualcosa.

Quella non era una misteriosa creatura ma io il giorno dell'incidente!

Il qualcosa che s'era squarciato altro non era che il velo dietro il quale si celava la verità.

Come avevo fatto a non pensarci prima?

La mia auto era il modello "security". Ancor oggi rammento le parole pronunciate dal concessionario il giorno in cui me la vendette: « Monta il sistema PAX antiscoppio e antisfondamento con controllo elettronico della pressione, che le consente di continuare a guidare per 100 chilometri a una velocità di 80 km/h anche con tutti e quattro i pneumatici completamente sgonfi. »

La rabbia e il risentimento si fusero in un unico pensiero che esplose in desiderio tramite un urlo: « Riavvolgi! »

Scostatomi di lato mi ritrovai ad osservare via-via da angolazioni differenti la medesima scena:

Mano a mano che la scena si ripeteva, riuscivo ad cogliere nuovi dettagli. Non solo, adesso ero persino in grado di arretrare – o meglio “riavvolgere” i miei ricordi – fino a rammentare quello stesso modello d'auto che mi sorpassava ad una velocità esageratamente elevata, per poi notarla di nuovo – seppure distrattamente – poco più in là, stranamente ferma sul ciglio della strada.

Ancora una volta rabbia e il risentimento si fusero in un solo pensiero che esplose in volontà tramite un grido: « Vendetta! »

Con un po' di concentrazione e molto tempo – ma lì dov'ero non era il tempo che mi mancava – sarei riuscito a rimettere insieme tutti i tasselli. Avrei saputo il modello e il colore di quell'auto, con un po' d'impegno avrei conosciuto l'esatto numero di targa e, infine, avrei ottenuto l'immagine nitida del volto della persona che ne era alla guida quella notte! Tutto questo non era solo una speranza, ma una certezza.

Restava solo un grande quesito: e a quel punto cosa avrei fatto?

CONTINUA

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